Quando si parla di programmazione, per forza di cose, si finisce prima o poi di parlare delle teorie generali dell’allenamento, la più conosciuta è sicuramente quella della supercompensazione. L’argomento non è così semplicistico come lo butto giù, è decisamente e dannatamente più complicato, ma faccio un breve riassunto per poter poi parlare d’altro! La serie di argomenti di cui voglio parlare è bella lunga! Ci ho messo anche un bel pò per pubblicare questo articolo perché dire poco sarebbe stato inutile, dire troppo sarebbe stato superfluo, spero di essere riuscito a scrivere quanto basta per dare un’idea generale che gli interessati poi possono approfondire.
Questa è la curva che rappresenta la teoria della supercompensazione, anche detta teoria a fattore unico. Alla base di questa teoria sta la deplezione di determinate sostanza chimiche (come il glicogeno muscolare) e l’idea che la condizione dell’atleta dipenda dalla quantità di queste sostanze.
Dopo l’allenamento la quantità alcune sostanze chimiche presenti nel nostro organismo diminuisce notevolmente, per poi addirittura aumentare fino a raggiungere un valore superiore a quello iniziale!
L’idea di questa teoria sarebbe quella di effettuare l’allenamento successivo esattamente durante il picco di supercompensazione, per permettere un miglioramento dell’atleta.
Se l’allenamento avviene prima della fase di supercompensazione, o prima che la curva ritorni ai livello dell’omeostasi, si ottiene un peggioramento delle condizioni atletiche, al contrario, se l’allenamento viene effettuato in ritardo rispetto alla supercompensazione non si avrà miglioramento.
Ci sono alcune varianti di questa teoria, come il “microciclo shock”, ma dato che la trattazione di quest’argomento vuole essere semplice, non la tratterò, è tanto per dire che l’argomento è molto più complicato.
Un grande difetto di questa teoria è quello di non stabilire il minimo criterio per stabilire quando si raggiunge il picco di supercompensazione, senza considerare che non esistono prove scientifiche che confermino la supercompensanzione della maggior parte delle sostanze metaboliche, come ad esempio l’ATP (adenosin-trifosfato) mentre altri studi dimostrano come le varie sostanze chimiche nel nostro organismo abbiano tempi di recupero differenti.
Come se non bastasse, spesso si ipotizza erroneamente che la curva in questione, invece di rappresentare la deplezione di sostanze chimiche, rappresenti la fatica di un esercizio, come può essere la panca. Oggi faccio panca, la mia “fatica” scende, riesco ad allenarmi tra 3 giorni quando ho supercompensato (3 giorni è un numero a caso!!) e miglioro! Fantastico, giusto? Non molto, fermo restando che non è così, ci sono molte cose da considerare, perché come influenza il mio allenamento di squat la curva in questione? E come, lo stacco, influenza la curva dello squat visti i numerosi muscoli in comune? Quando avviene il picco di supercompensanzione? Le varie fatiche si sommano, non esiste una vera e propria curva unica, ma al massimo decine di curve che si intersecano tra loro e che supercompensano in momenti assolutamente diversi tra loro.
Infine, la supercompensazione non considera né prende in considerazione il metodo distribuito! Perché se mi alleno oggi, domani, dopodomani, la mia curva di supercompensazione va sempre più in basso, non permettendomi di ottenere mai lo sperato miglioramento! Eppure si migliora, perché?
Detto molto in sintesi: allenarsi secondo la teoria della supercompensazione è impraticabile, la teoria della supercompensazione è troppo semplice per essere corretta.
Per questo è stata elaborata la teoria dei due fattori, maggiormente conosciuta con il nome in inglese (perché fa figo), cioè: dual factor theory.
La dual tiene in considerazione due curve, quella della fatica (fatique) e quella della condizione fisica (fitness).
Ogni sessione di allenamento, seconda questa teoria, induce sia un miglioramento della preparazione, sia un peggioramento dovuto alla fatica e la risultante, la preparazione, è la somma delle due, che hanno effetti diversi: si ritiene che il miglioramento prodotto da una sessione di allenamento sia di poco conto, ma durevole nel tempo, mentre la fatica prodotta da un allenamento è sì elevata, ma di breve durata. Detto in altri termini, secondo la dual, dopo 24 ore è possibile riallenarsi e ci si comincia a deallenare dopo 72 ore ed è per questo che ad esempio si consiglia di non far passare più di 3 giorni tra un allenamento di un’alzata e l’altro
C’è qualcosa di praticabile? Sinceramente per quanto questo modello dovrebbe essere alla base dell’allenamento non ho mai creduto che potesse essere applicabile nella realtà, così come, difatti, ho sempre programmato senza. Periodo di preparazione, accumulo, trasformazione e scarico pre-gara trovo che, in proporzione, debbano dipendere più dalla tabella di Prilepin piuttosto che dalla tabella della supercompensazione, che spiega sì cosa succede a livello teorico, ma decisamente non da spiegazione a livello pratico. Ancora più importante, la supercompensazione spiega quello che si sta facendo e si è fatto piuttosto che quello che si dovrebbe fare.
Ho sempre visto la curva della supercompensazione, al massimo, come macro rappresentazione dei periodi di programmazione: con la fase di accumulo e intensificazione la fatica si accumula sempre di più, poi nello scarico pre-gara si raggiunge il livello massimo per poter poi raggiungere la prestazione voluta. Visto così, a livello pratico, è molto più realistico, anche se fondamentalmente è una super-supersemplificazione
ciao Alessio
potresti dettagliare la tua affermazione:”Periodo di preparazione, accumulo,trasformazione e scarico pre-gara trovo che, in proporzione, debbano dipendere più dalla tabella di Prilepin piuttosto che dalla tabella della supercompensazione”
intendi che si deve giocare nelle varie fasi su volume/intensità piuttosto che su frequenza???
ciao
alberto
No tutt’altro, anche la frequenza è una variante chiave. Intendevo che è più realistico basare i calcoli del proprio allenamento su qualcosa di concreto, come possono essere i numeri, piuttosto che su delle curve di cui alla fine non conosci i valori