Ossia il ruolo del “conditioning” per il powerlifter e nello strenght training
a cura del dott. Andrea Chiama
Uno degli aspetti più controversi nella preparazione di un atleta di potenza è rappresentato dal condizionamento cardiovascolare; negli ultimi anni è stato pubblicato tutto e il contrario di tutto, addirittura qualcuno è arrivato a dipingere il “cardio” come un’attività da evitare, dannosa, causa di stress ossidativo e controproducente, dopo che per anni i consigli dei “guru” del settore andavano in senso contrario.
Ragionevolmente credo che la verità stia nel mezzo; sicuramente l’attività di condizionamento cardiovascolare fa bene, e altrettanto sicuramente un suo abuso può andare a inficiare i progressi nella forza.
Preferisco parlare di condizionamento cardiovascolare o conditioning piuttosto che di cardio, per il semplice motivo che nel comune parlare “da palestra” con cardio si intende l’attività aerobica su ergometri (tappeto, ellittica, cyclette, rower).
Sotto il termine conditioning invece includiamo una serie di attività ad elevato impatto sia periferico che centrale, che sostanzialmente determinano dei miglioramenti a livello cardiorespiratorio (riduzione della pressione arteriosa, riduzione della frequenza cardiaca, aumento della gittata cardiaca, ipertrofia ventricolare eccentrica, miglioramento della ventilazione polmonare e degli scambi alveolari, miglioramento dell’ossigenazione ematica), muscolare (miglioramento delle capacità ossidative, tolleranza locale al lattato, aumento dei depositi energetici, capillarizzazione), metabolico (aumento dell’efficienza nel tamponare il lattato e nella sua riconversione in glucosio, soprattutto a livello epatico), ed infine anche a livello articolare (modulazione della produzione di liquido sinoviale).
Tutti questi effetti in cosa si traducono al lato pratico?
Miglioramento delle prestazioni sotto fatica, sia a livello centrale (“non ho fiato”) che periferico, prevenzione degli infortuni, miglioramento delle capacità di recupero post esercizio.
Parlando sempre di conditioning, dobbiamo anche ricordarci di alcuni effetti collaterali benefici in termine di composizione corporea: l’aumento dell’EPOC o afterburn (Excess Postexercise Oxigene Consumption) e i picchi di lattato ematico contribuiscono a creare un “microambiente metabolico” che favorisce lo smaltimento del grasso in eccesso (attivazione simpatica, tiroidea, e incremento della secrezione di GH, che hanno effetto promotore sulla mobilizzazione ed ossidazione dei lipidi); tali effetti sono di maggior entità e di maggior durata dopo allenamenti intervallati ad elevata intensità rispetto al cardio in fascia lipolitica.
Dopo queste premesse, veniamo al sodo: come fare? Cosa fare? E soprattutto, quanto?
Certamente chiedere ad un sollevatore di pesi o a un powerlifer di mettersi a fare la mezza maratona è una follia, su questo non ci piove: bisogna focalizzarsi sulle alternative.
Sul “come” possiamo dire che il miglior sistema sia l’High Intensity Interval Training (HIIT), ossia alternare intervalli di allenamento ad elevata intensità con periodi recupero, che possono essere di 1:1, 2:1, 3:1 a seconda del grado di allenamento, ad esempio 30” di allenamento e 30” di riposo, 40” di allenamento e 20” di riposo, 45” di allenamento e 15” di riposo, oppure eseguire una sequenza di esercizi da ripetere intervallata da un paio di minuti di recupero fra ogni giro o addirittura senza intervalli.
Il più famoso sistema ad intervalli è il Tabata, dal nome dello studioso giapponese che lo ha messo a punto nel 1996, che consiste in una sequenza di intervalli (generalmente 4 minuti) in cui si alternano 20” di allenamento al 170%VO2max (oltre la soglia anaerobica) e 10” a bassissima intensità: molto impegnativo.
Arriviamo quindi al “cosa”. Storicamente negli USA, in ambienti legati sia al powerlifting che alla NFL, uno dei principali strumenti per “fare fiato” è il prowler: la slitta, che può essere caricata a piacere, trainata oppure spinta (con differente coinvolgimento dei quadricipiti o della catena cinetica posteriore) per intervalli solitamente di 40 o 80 yards alla massima velocità possibile, con recuperi di 60”.
Il prowler è un bellissimo attrezzo, ma difficile da trovare nelle nostre palestre… negli USA, è invece facile da trovare tanto nei campi sportivi quanto nelle palestre, dove esistono proprio delle “piste” su cui spingere o trainare la slitta.
Escluso questo bellissimo strumento, possiamo pensare alla corsa, ma non è così semplice. Per poter far lavoro ad intervalli bisogna avere lo spazio e le condizioni meteo adatte in qualsiasi periodo dell’anno, farlo su un tappeto o su altro ergometro non è semplice operativamente e non è equivalente al lavoro svolto su strada.
Però gli sprint sono un ottimo esercizio, da fare magari secondo il protocollo Tabata (poi serve il cardiofrequenzimetro, serve un cronometro… insomma, troppo complesso per un grezzo sollevatore di pesi).
Gira che ti rigira, presto o tardi rientriamo nella palestra, dove possiamo comunque fare degli allenamenti mirati al conditioning con quel che abbiamo: corpo libero, bilancieri, magari kettlebell, bulgarian bag o sandbag.
Quindi, la soluzione definitiva può essere questa: ideare dei piccoli circuiti anaerobici ad intervalli con gli attrezzi… sconfiniamo nel crossfit, forse, anzi, quasi sicuramente, ma spazio alla fantasia.
Punto cruciale è il “quanto”.
Un simile tipo di allenamento, soprattutto all’inizio, risulta abbastanza faticoso, e può inficiare con i progressi sulle alzate: è evidente che debba essere dimensionato e adattato alle esigenze agonistiche.
A rigor di logica, appare sensato fare questo tipo di lavoro anche più volte a settimana lontano dalle gare (per sfruttarne gli effetti positivi sulla resistenza per affrontare una voluminosa fase di accumulo), riducendo la frequenza delle sedute in prossimità degli eventi, addirittura fino ad escluderla del tutto; se si sente l’esigenza di fare qualcosa, può essere sensato inserire 1 – 2 sedute di attività aerobica a basso impatto anche in fase di intensificazione (jogging oppure ergometri a scelta a bassa intensità, non oltre il 70% della frequenza cardiaca massima teorica).
Un esempio di programmazione sensato potrebbe includere fino a 2 sedute settimanali dedicate al conditioning in tutto il periodo off, riducendo a una sola in prossimità delle gare (diciamo 8 settimane, tanto per dare un numero ragionevole), staccando completamente nelle ultime 4 e sostituendo con 1 o 2 sedute di cardio a bassa intensità, per poi staccare assolutamente nell’ultima settimana di scarico.
Dopo la gara si può di nuovo iniziare con un simile approccio, ovviamente in accordo con la programmazione dell’evento successivo.
Mancando comunque esperienze significative per quanto riguarda l’inserimento organico di protocolli di allenamento metabolico come quelli proposti, al momento appare consigliabile come sempre usare il buonsenso, ascoltare i segnali che arrivano dal proprio fisico, e farsi consigliare da un allenatore con esperienza: la logica ci impone di ridurre il carico di lavoro non specialistico in prossimità di una gara, su questo non ci piove, quel che ci manca è il “quanto”.
Ma andiamo avanti.
Dopo aver analizzato gli effetti e le problematiche legate all’inserimento di un lavoro di condizionamento del planning settimanale, è giunto il momento di dedicarsi a qualcosa di pratico, che sia semplice ed immediato: studiare lavoro ad intervalli o comunque a circuito, che non risulti troppo complesso, che non interferisca con il lavoro tecnico e che sia anche divertente.
Per affrontare al meglio un lavoro di condizionamento metabolico, sarebbe opportuno effettuare alcuni test atletici di base (anche un semplice test dello scalino, è poco ma è sempre meglio di niente), oltre a rilevare le variabili antropometriche e biologiche (peso, altezza, BMI, composizione corporea, frequenza cardiaca a riposo) in modo tale da poter annotare i progressi e impostare i parametri di carico (avere un’idea della soglia anaerobia in modo da impostare il lavoro aerobico a bassa intensità e da far fruttare i circuiti anaerobi); inoltre il cardiofrequenzimetro andrebbe utilizzato sempre durante questi allenamenti… ok, facciamo finta che sia tutto così idealmente.
Nella pratica, vale la regola dello spingi e riposa: negli intervalli di attività dare tutto, nel recupero… recuperare. Un buon sistema per verificare se il lavoro sia effettivamente svolto al massimo consumo d’ossigeno possibile, consiste nel… non riuscire a parlare mentre si sta eseguendo l’esercizio: monitoraggio semplice ed efficace.
Abbiamo accennato agli attrezzi con cui costruire i nostri circuiti; le cose più comuni sono bilancieri e manubri (questi ultimi non mi piacciono, parere strettamente personale, ma con un manubrio si possono rubare agevolmente i movimenti specifici per i kettlebell o ghirie), corpo libero (basta una sbarra, una panca addominali, volendo le parallele), kettlebell o ghirie, sandbag (un altro strumento mutuato dalla NFL, una semplice sacca in robusta cordura riempita di sabbia), bulgarian bag (un sandbag un pochino più raffinato usato dai lottatori)… e una semplice corda per saltare (forse la cosa più devastante in assoluto).
Ovviamente per ogni attrezzo esiste una tecnica specifica: il consiglio di base è usare ciò che vi è più familiare, è inutile mettere altre abilità neurali alla prova, è controproducente.
Il bilanciere è a portata di tutti, il corpo libero anche, il sandbag è forse il più tosto fisicamente ma il meno impegnativo dal punto di vista mentale (ogni ripetizione è diversa essendo un carico dinamico e instabile, quindi una tecnica ottimale… non esiste!), le ghirie hanno parecchia tecnica dietro.
Una volta deciso quali attrezzi impiegare, la buona pianificazione del lavoro di condizionamento inizia con la scelta degli esercizi: lavorare con esercizi multiarticolari in modo da non “cuocere” un singolo gruppo muscolare, alternati secondo il principio del PHA (Peripheral Heart Action), cioè alternando distretti muscolari lontani in modo da tenere sempre alto l’impegno cardiovascolare.
E’ molto importante non focalizzarsi su un singolo distretto gruppo muscolare con movimenti monoarticolari, perché l’impiego di multiarticolari oltre ai benefici di un maggior impegno cardiovascolare si aggiungeranno i benefici di produzione di elevate quantità di lattato e di riduzione dello stress localizzato, che può essere controproducente allungando i tempi di recupero e non consentendo quindi di mantenere la progressione sul lavoro principale.
A rigor di logica è consigliabile scegliere esercizi differenti dalle alzate di gare, sopratutto quando si vuole lavorare con il bilanciere, poiché in questo tipo di lavoro l’esecuzione tende inevitabilmente a sporcarsi, ed evitare quindi possibili interferenze sugli schemi motori consolidati.
I movimenti forse migliori per ci vuole usare il bilanciere sono i push press, i front squat, i thrusters, i rollouts per gli addominali (quelli dell’ Ab roller, esatto, si possono fare utilizzando il bilanciere al posto della rotella, stesso identico esercizio).
Molti inseriscono le olimpiche adattate, a me piace inserire qualche power clean e qualche tirata, ma se non si ha un minimo di cognizione di causa, il rischio di farsi del male (gomiti soprattutto) è notevole.
Per chi vuole utilizzare il sandbag, oltre alle versione trasportate degli esercizi classici (vari tipi di squat e affondi, rematori, distensioni, push press e push jerk) si possono inserire senza troppi problemi le derivate olimpiche (power clean, squat clean, high pulls, power snatch, squat snatch), che sono pure divertenti, ed esistono inoltre alcuni esercizi propri (shovelling, shouldering, shoulder to shoulder press, suitcase deadlift, hug bear squat).
Per le ghirie si apre un mondo a parte…
Ricordo a tutti che parecchie indicazioni soprattutto per l’allenamento col sandbag si possono trovare sul sito http://www.rawtraining.eu, per i kettlebell sul sito http://www.projectinvictus.com.
Dopo queste premesse, alcuni esempi di circuiti; le prime volte durerà poco la sessione, una decina di minuti, ma col tempo si raggiungerà la condizione sufficiente per allenarsi per 20′ (un tempo sufficiente ai nostri scopi) o addirittura 30′, incrementando anche i carichi.
Barbell (20 – 60 kg indicativi) & bodyweight:
10 squat thruster o push press
10(5) strict pull up
10 front squat
10 push up o dips
10 rollout con bilanciere
Ripetere il circuito due volte e aumentare di un giro ad ogni seduta, aumentando il carico quando si completano 4 giri
Kettlebells & bodyweight
10 snatch doppi
10 goblet squat
10 push press doppi
10 swing bassi doppi
10 pull up
10 push up
Ripetere il circuito per 3 volte senza soste annotando il tempo impiegato ed il peso dei kettlebells usati.
Sandbag:
shovelling (torsioni)
swing
push press
affondi alternati
shouldering and press unilaterali alternati
clean
bent over row
snatch
high pulls
thrusters
Eseguire ogni esercizio per 45”, recuperare 15”; aumentare progressivamente il numero di giri fino a 3 riposando 2′ fra ogni giro. Quando 3 giri risultano facili incrementare il peso del sandbag di 5 kg.
“Cindy” un celebre wod crossfit solo a corpo libero:
5 pull up
10 push up
15 air squat
Massime ripetizioni possibili senza sosta per 20′.
Queste sono soltanto idee, lavorando con la fantasia e con quel di cui si dispone si possono ideare allenamenti particolarmente efficaci e divertenti… e ricordatevi: volete incrementare l’intensità? Aggiungete un minuto di corda in ogni giro ed il gioco è fatto!
Buon conditioning a tutti!
Link utili da cui trarre ispirazione:
http://www.rawtraining.eu
http://www.projectinvictus.com
http://www.youtube.com/watch?v=8c7HROXnSWY (dal minuto 2:06)
Nota sull’autore:
mi chiamo Andrea Chiama, ho 33 anni, vivo a Genova, sono laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Chirurgia Vascolare. Attualmente lavoro come libero professionista.
Mi piace studiare ed applicare le mie conoscenze professionali anche in ambito strengh training e nutrizione sportiva.
Dopo un brutto infortunio e un periodo “no” ho deciso di rimettermi in gioco nel powerlifting, sia a livello agonistico che a livello didattico.