La tecnica vincente: ricordarsi di essere principianti

Quando il ragazzo che legge articoli troppo complicati su internet incontra un bilanciere carico, il ragazzo che legge articoli troppo complicati non lo solleva.

La premessa con cui leggere questo articolo è capire che io ultimamente ho avuto un ritorno alle origini. Direi che a tal proposito rende una bellissima citazione di Bruce Lee, secondo cui quando era agli inizi un pugno fosse un pugno, quando studiava un pugno non fosse più solo un pugno, ma qualcosa di più complicato e quando avesse terminato di studiare, un pugno fosse nuovamente solo un pugno.

Mi permetto di applicare questo bellissimo concetto ai pesi.

Entrate in una palestra e vedete mille persone che spostano pesi su e giù. Io all’inizio lo facevo senza problemi. Anzi, sostengo che gran parte della gente non si faccia male proprio perché non sa di potersi far male.

Poi cominciate a capire le cose e via di leve, biomeccanica, anatomia, fisiologia, studi scientifici.

Poi alla fine vi rendete conto che uno squat è solo uno squat, ma perché avete “interiorizzato” tutto ciò che avete imparato. Ora vi viene naturale.

Ci sono dunque 3 fasi ben precise dell’apprendimento. L’ignoranza, lo studio, la conoscenza.

Quella di questo articolo vuole essere una considerazione che ritengo estremamente fondamentale e per farlo voglio partire estremamente alla lontana, partendo dalla nobile arte del Kyudo, la via dell’arco giapponese.

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Non è una cosa di cui parlo molto, ma io sono estremamente affascinato dalla filosofia orientale, nonché profondamente interessato a tutto ciò che riguarda lo zen e la meditazione. In questo articolo voglio combinare il mio interesse per la spiritualità con quello per i pesi.

Il libro da cui ho tratto ispirazione per questo articolo è un libretto interessantissimo che si chiama “lo zen e il tiro con l’arco“, un piccolo testo che descrive l’esperienza dell’autore nel tiro con l’arco giapponese.

Se avete visto L’UItimo Samurai (e se non l’avete fatto vi invito a smettere di leggere e di correre a vederlo), con Tom Cruise, non vi sarà nuovo il termine “no mente”. Nel pratico, consiste nell’eseguire un gesto non pensando a quello che si fa. La maestria è tale che si riesce a compiere, nel Kyudo, un tiro perfetto senza mirare, senza contrarsi, senza nemmeno decidere volontariamente di scoccare la freccia: tutto accade in modo totalmente rilassato e naturale. Questo vale anche per l’arte della spada giapponese (Kenjutsu) e sulla, a paragone, ben più semplice arte della meditazione zen, in cui il semplice fulcro dell’azione è il respiro e nulla più.

Per dirla in modo più semplice e tornando a parlare di Dragon Ball.

Nell’episodio 116 di Dragon Ball super Goku si assume nuovamente la forma Ultra Istinto, una forma che ricalca pari pari l’idea dietro al Kyudo e del Kenjutsu: Goku schiva ogni colpo quasi in automatico, senza dover riflettere ed anzi, i problemi si presentano proprio quando deve attaccare: pensando a come colpire, perde forza nei colpi.

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Perché questo escursus zen? Perché il non pensare a ciò che si fa non è altro che un’arte, un punto di arrivo al culmine di un lungo percorso di pratica. Nel caso del libro “lo zen e il tiro con l’arco”, addirittura di 5 anni di assidua pratica sono bastati semplicemente a far concepire all’autore di cosa si stesse parlando.

Ovviamente non ho la pretesa di dire che queste più che nobili arti possano essere applicati al banale sollevamento pesi, ma mi permettono di trarne un’analogia.

In generale direi che ci sono 3 tipi di tecniche.
1. La tecnica di chi sta imparando
2. La tecnica di chi è un intermedio e ha già imparato cosa deve e non deve fare
3. La tecnica del campione

Ogni cosa nella vita è così, perché per i pesi dovrebbe essere differente? Abbiamo iniziato a guidare driftando per le curve della città o a stento riusciamo a partire senza far spegnere la macchina con qualcuno a fianco che ci cazziava se non controllate persino come fosse messo lo specchietto retrovisore? Poi dopo la patente ognuno ha cominciato ad avere il proprio stile, a guidare con i propri “trucchi”, e infine quei pochi portati vanno a fare manovre estreme. Non è molto diverso nei pesi.

La tecnica di chi sta imparando un movimento deve essere canonizzata. Non c’è spazio per dire “a me viene bene così” o per altre strane personalizzazioni. Fermo restando problematiche fisiche particolari.

Qualche giorno fa mi sono messo a discutere con un ragazzo che aveva da “ridire” sul fatto che nello stacco, per tenere il bilanciere vicino al corpo, si dovessero contrarre i dorsali e la sua risposta era che non è vero, che bisogna stare rilassati!!

Ormai riconosco chi ha letto qualcosa di powerlifting o fatto qualche corso da come ripete in giro che si debba restare “compatti, ma decontratti”, mantra ormai talmente ripetuto che ha perso ogni alone di importanza risultando solamente fastidioso per un semplice motivo: nessuno, tranne pochissimi, chi fa veramente kg in pedana, ha veramente capito che cosa significhi. Il punto è che vero, non mi permetto di dire di no, ma allo stesso tempo è un qualcosa di inapplicabile.

Mi spiego.

Quando lavoravo in palestra avevo davanti ogni giorni principianti che si approcciavano alle alzate principali e per loro vigeva assolutamente il concetto di seguire le linee guida base dei movimenti. Cosa ha più senso dire ad un completo principiante? Di stare sui talloni perché è probabile al 99% che cercando di scendere lo alzi, oppure di sentire il peso distribuito su tutta la pianta del piede? Uno che fino a ieri era su un divano non ha la minima propriocezione del carico del corpo (figuriamoci corpo + bilanciere) sul piede, quindi figuriamoci che propriocezione avrà. Concetti semplici! E facilmente applicabili.

Parlando ad un completo principiante non c’è personalizzazione, perché per personalizzare bisogna sapere cosa si sta facendo. E non intendo che deve saperlo chi insegna, bensì proprio chi lo sta eseguendo. In questa fase l’obiettivo è riuscire a mantenere una tecnica corretta aumentando quanto più possibile, nel tempo, il carico allenante.

Nella seconda fase, dopo che si sta cosa si sta facendo, si può sperimentare qualcosa di nuovo. Nell’esecuzione delle varie alzate, ci sono punti target da rispettare e punti da personalizzare.

Mettiamo, ad esempio, lo squat. Dopo che si sono finalmente imparati i punti base e si riesce a scendere tranquillamente sotto al parallelo, le ginocchia non si chiudono e non si alzano nemmeno per sbaglio i talloni da terra, si può pensare a personalizzare il resto. Scarpe piatte o scarpe con tacco? Stance stretto o stance largo? Presa larga o stretta?

Qui ha senso cercare di capire cosa funzioni meglio su una persona, perché alle spalle c’è almeno un semestre di allenamenti e sulle spalle si sta lavorando tranquillamente con almeno 1,5 il proprio peso corporeo.

Quando si lavora con chi è intermedio, non esiste una tecnica che vada bene per tutti e in questa fase l’obiettivo è saper gestire la tecnica e mantenerla quanto più valida con % sempre più alte, ovvero annullare quanto più possibile un gap tra massimale tecnico e massimale reale.

E ora la parte che per cui ho scritto tutto questo. La tecnica dei campioni.

Un campione fa quello che un maestro dell’arco giapponese fa sembrare una banalità: scoccare una freccia e colpire il bersaglio senza fatica, senza contrarre e senza pensarci.

Un concetto estremamente affascinante del Kyudo, come dicevo prima, è che la freccia non viene scoccata. La freccia parte da sé, senza volontà del suo esecutore. E se guardate il video qui sotto noterete la differenza di quando un neofita scocca una freccia contro il rilassamento che si vede in un maestro.

 

 

 

 

Quando si ha veramente tanta esperienza alle spalle, si può pensare di ottimizzare talmente tanto il gesto da poter pensare di rilassarsi. Quando abbiamo svolto talmetne tante volte il movimento da farlo scrivere con penna indelebile nelle sinapsi del nostro cervello, allora sì: potremmo essere rilassati! Questo perché dopo anni di esperienza e pratica avremo finalmente capito come gestire la cosiddetta economia del gesto.

Chi lavora nel lato oscuro dei kettlebell, il ghirisport, sa quanto sia importante rilassarsi.
Io ho provato a praticare ghirisport, ma sinceramente ho fatto schifo. Allo stesso tempo mi ha insegnato molto averci provato.

Quei terribili 10′ in cui si deve cercare di fare più ripetizioni possibili non li ho mai chiusi, ma ho capito quanto sia importante cercare di provare a rilassarsi il più possibile e usare solo i muscoli che servono. Guardate, se avete voglia, questa straordinaria prova di forza, mentale e fisica! QUARANTASETTE ripetizioni con due kettlebell da 40kg.

 

 

 

Come si riesce in un’impresa simile? Rilassandosi. Non perdendo mai il controllo del respiro e contrandosi a perfezione solo dove e quando serve, traendo il massimo da ogni posizione di riposo. Concetti tanto banali da scrivere, quanto difficilissimi da raggiungere. Non abbiate quindi l’arroganza di pensare di avere una padronanza e una conoscenza del gesto tale da poter applicare anche voi certe cose: non la avete. E sarò incredibilmente drastico dicendo che probabilmente nemmeno la si potrà raggiungere perché non sono concetti che vi possono insegnare, ma che dovete capire.

Certi concetti vanno guardati da lontano e l’unica cosa che si può fare è cercare di raggiungerli, senza cercare di applicarli perchè altrimenti è come pensare di buttarsi in una rissa “senza pensare” perché lo avete visto fare da Goku con Kafla: prendereste solo una marea di schiaffi.

Per chiudere, ci tengo a dire che questo è un concetto ritenuto estremamente fondamentale nello zen e nelle stesse arti marziali, un concetto che mi è molto caro, tanto da essermi addirittura tatuato il rispettivo kanji per ricordarmelo spesso: shoshin, ovvero “mente del principiante” riferendosi al possedere un atteggiamento di apertura, determinazione, passione e assenza di preconcetti quando si studia una materia, anche quando si studia ad un livello avanzato.

Se voi partite dall’inizio con concetti dell’avanzato, avete perso in partenza. Riformulando quindi la frase del ragazzo con cui ho parlato e da cui è nato questo articolo: dobbiamo cercare di rimanere più rilassati possibile, mentre cerchiamo di contrarre i dorsali.

Ricordo molto bene ad esempio il periodo in cui mi massacravo di panca. Mi ricordo molto bene quella sensazione di spinta di gambe talmente forte da avere i doms il giorno dopo facendo solo panca, ma allo stesso tempo quel tenere le spalle basse per cercare di rilassare il tratto cervicale (e mi ricordo pure il mal di collo quando non ci riuscivo poi così bene.

Due concetti opposti che sono coinvolti nella stessa alzata. Cosa capire cosa rilassare? Solo con l’esperienza.

Goodlift!

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Un commento

  1. Ciao Alessio, come sempre molto interessanti le tue riflessioni. Vedo che stai prendendo una strada poco battuta. Accostare i pesi alla meditazione può apparire bizzarro, ma è più naturale di quanto possa sembrare. E vedo anche che i commenti ai tuoi articoli diminuiscono. Sei sulla buona strada.

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